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Studio e restauro di due pale d’altare della Chiesa della Certosa di Pavia

La riscoperta del colore nascosto*

 

*Santa Veronica, olio su tavola, restaurato da Rava & C. tra giugno e settembre 2020
Gesù in casa di Marta e Maddalena, olio su tela, restaurato da Rava & C. tra giugno e settembre 2020

 

Nei mesi scorsi la Direzione regionale Musei Lombardia è stata impegnata nella progettazione e direzione dei lavori di studio e restauro conservativo eseguiti su due grandi dipinti provenienti dagli altari di due cappelle laterali della chiesa di Santa Maria delle Grazie, cuore della monumentale Certosa di Pavia. Si tratta della Santa Veronica dipinta da Camillo Procaccini nel 1616 e di Gesù in casa di Marta e Maddalena di Giuseppe Peroni.

Il restauro è stato eseguito dalla ditta Rava & C. di Torino, che si è affidata alla competenza specialistica di Opus Conservation e Università degli Studi di Torino per la campagna diagnostica preliminare.

In qualità di restauratore della Direzione regionale musei Lombardia, ho partecipato in prima persona a tutte le fasi del lavoro, dalla progettazione fino alla direzione dell’esecuzione, e posso perciò raccontarle su queste pagine virtuali.

Ma prima di entrare nel merito degli esiti delle analisi diagnostiche e dell’intervento di restauro, conosciamo più da vicino le opere.

I protagonisti

Il dipinto della Santa Veronica, realizzato dal bolognese Camillo Procaccini nel 1616, in una fase matura della sua carriera, raffigura l’episodio in cui Veronica, qui circondata da altre pie donne, dopo avere asciugato il volto di Gesù, stremato nel trascinare la croce sul Calvario – lo vediamo sul fondo – si rende conto che sul velo da lei utilizzato era miracolosamente rimasto impresso il viso di Cristo, dando così origine ad una delle reliquie più venerate della cristianità.

La grande opera, circa 150 x 271 cm, è realizzata ad olio su tavola seguendo una tecnica tradizionale.

Il supporto ligneo venne realizzato con grande maestria, tanto che a distanza di 400 anni conserva ancora la sua planarità. La tavola è composta da quattro assi verticali in legno incollate tra loro e unite da tre traverse orizzontali. A questo piano principale sono stati aggiunti tre listelli orizzontali alti pochi centimetri: due inchiodati lungo il bordo superiore e uno lungo quello inferiore. Si tratta di aggiunte originali, tanto è vero che la firma del pittore si trova proprio a cavallo dell’aggiunta inferiore.

Il dipinto raffigurante Cristo in casa di Santa Marta e Santa Maria Maddalena del parmense Giuseppe Peroni è anch’esso firmato e datato (1757) dall’autore. La scena è ambientata in un interno domestico caratterizzato da stoviglie e tendaggi dove i tre personaggi si impongono con elaborati panneggi e ricchi gioielli. L’opera rappresenta uno degli ultimi dipinti realizzati per la Certosa di Pavia, che fu soppressa nel 1798, e venne collocata sull’altare della prima cappella sinistra della chiesa in sostituzione del quadro di Antonio Triva La Comunione di Maddalena, che si può ora ammirare in una sala del Museo della Certosa.

L’opera di Peroni ha dimensioni analoghe alla Santa Veronica ed è realizzata ad olio su tela preparata con mestica rossa.

Entrambi i dipinti sono inseriti all’interno degli altari marmorei delle rispettive cappelle circondati da sottili cornici lignee dorate che al momento dell’avvio dei lavori di restauro si trovavano in pessime condizioni.

Indagare per capire

Come anticipato, prima del restauro i due dipinti sono stati sottoposti ad analisi scientifiche per approfondire la conoscenza dei materiali e della tecnica esecutiva e per circoscrivere i restauri avvenuti in passato. In particolare, lo studio dei dipinti è stato condotto attraverso analisi non invasive di imaging multispettrale (foto e macrofotografie in luce visibile e radente, vicino infrarosso anche elaborato in falso colore e fluorescenza ultravioletta) realizzate da Opus Conservation, a cui è stata associata la più diffusa e collaudata tra le indagini non invasive di caratterizzazione chimica dei pigmenti, la fluorescenza a raggi X (o XRF, basata sulla sollecitazione di elettroni che, tornando allo stato iniziale, emettono un raggio X caratteristico dell’elemento chimico che compone il materiale analizzato permettendo quindi di individuarlo), eseguita con strumentazione portatile dal dott. Agostino dell’Università di Torino presso il laboratorio Rava.

Osservando il quadro di Procaccini, una delle caratteristiche più interessanti è la grande capacità dell’artista di miscelare e accostare in modo sapiente pochi pigmenti per realizzare molteplici sfumature e contrasti cromatici di grande impatto visivo ed emotivo.  Le indagini lo confermano in pieno. La tavolozza impiegata, analizzata con la tecnica XRF, comprende infatti pochi pigmenti tradizionali: rosso cinabro, azzurrite giallolino, giallo di Napoli, nero carbonioso, bianco di piombo, terra d’ombra e smaltino blu.

Quest’ultimo pigmento è stato utilizzato in modo insolito dal pittore per realizzare alcune ombreggiature sul velo con il volto di Cristo e su alcune vesti bianche. Attualmente esse si presentano con un aspetto grigio/bruno, ma il fatto che siano trasparenti all’IR e rosse nell’IR falso colore, suggeriva si trattasse di blu smaltino alterato dal tempo: l’analisi dei composti chimici ha confermato che quei grigi sono ottenuti miscelando blu smaltino, giallo di Napoli e terra d’ombra.

Nella sequenza di foto si può osservare il particolare del velo col volto di Cristo illuminato (da sinistra verso destra) con luce visibile, con i raggi infrarossi e con l’elaborazione dell’infrarosso in falso colore.

Anche la tavolozza di Peroni è composta da pochi pigmenti tradizionali: blu oltremare (abito di Cristo), smaltino (mescolato con oltremare per la veste di Maddalena), bianco di piombo, rosso cinabro, ocra rossa, ocra gialla, minio e nero carbonioso.

Su entrambe le opere sono state eseguite indagini con fluorescenza UV, che ‘legge’ lo strato più superficiale dei dipinti permettendo di individuare la presenza di materiali diversi: a seconda della natura chimica e del grado di invecchiamento raggiunto, infatti, ogni materiale risponde all’irraggiamento con raggi ultravioletti emettendo una fluorescenza caratteristica (è il caso delle vernici) o apparendo scuro. Le immagini mostrano la presenza di uno spesso strato di vernice alterata (assente per circa 2 cm lungo i bordi a testimonianza del fatto che fu stesa senza togliere il dipinto dalla cornice) ed evidenziano, come macchie scure, ritocchi puntuali, riconoscibili anche ad occhio nudo per la loro opacità. Nella Santa Veronica si tratta in genere di piccole pennellate sulle campiture arancio, verde, rossa e gialla delle vesti delle figure in primo piano e in corrispondenza di fori di tarlo stuccati e ritoccati in passato; nel Gesù in casa di Marta e Maddalena, invece, alcuni ritocchi mascherano la craquelure dello strato pittorico, in particolare sul manto blu di Gesù, e le abrasioni del colore in corrispondenza dello sfondo scuro a sinistra di Santa Maddalena.

 

 

Lo studio dei due dipinti è stato naturalmente completato dall’osservazione e dalla documentazione dello stato di conservazione mediante fotografie (generali e di dettaglio) e grafici che identificano e mappano la distribuzione dei fenomeni di degrado presenti sulle opere, al fine di intervenire con prodotti e metodologie ad hoc per risolvere i problemi conservativi di ognuno e delle sottili cornici lignee che li inquadrano all’interno dell’altare marmoreo delle rispettive cappelle.

Problematiche e interventi

La Santa Veronica si trovava in discreto stato di conservazione. Il principale danno osservato era la presenza sul supporto di fori di sfarfallamento che, uniti al rosume (polvere di legno prodotta da insetti xilofagi) visibile sulla cornice e sull’altare dove era collocato il dipinto, indicava un attacco biologico in atto, successivo a quello più antico, i cui fori di sfarfallamento erano già stati chiusi in passato con stuccature e mascherati con ritocchi puntuali, come si è scritto più sopra.

L’alterazione più evidente però era data dallo spesso strato di vernice ingiallita e ossidata che offuscava l’opera, a cui si associavano numerose gocciolature, forse di vecchie vernici, particolarmente evidenti sui volti e sulle vesti chiare delle pie donne. Al di sotto della vernice il colore appariva in buono stato ad eccezione della presenza di piccoli sollevamenti di scaglie di colore e imprimitura in corrispondenza delle giunzioni tra le assi che costituiscono il supporto e dell’azzurrite della veste di Veronica, virata da blu a verde secondo un processo frequente e spontaneo legato più alla natura poco stabile del pigmento che all’effetto di un danno vero e proprio.

Erano poi presenti danni minori, come una mancanza del supporto nell’angolo in basso a sinistra, ammaccature sul listello inferiore e alcuni fori di chiodi e chiodi ossidati.

Anche sul dipinto di Peroni uno dei fattori di maggiore disturbo era costituito dalla vernice invecchiata che impediva di apprezzare pienamente le pennellate corpose e l’equilibrio delle cromie originali, sonore e brillanti, insieme ai danni causati da una precedente foderatura, da alcune abrasioni forse dovute a gocciolature e da lacune e sollevamenti concentrati sulle maniche rosa dell’abito di Gesù che mettono in luce la sottostante preparazione rossastra.

Le abrasioni e i solchi delle crettature del colore erano state in passato colmate da ridipinture ormai fuori tono.

L’intervento

Dopo la spolveratura sul fronte e sul retro per rimuovere i depositi e lo sporco incoerente, sono stati condotti su ciascuna opera i test di solubilità per individuare la miscela di solventi più idonea a rimuovere la vernice alterata, che era diversa sulla tavola e sulla tela.

La tavola e le cornici dorate, attaccate da insetti xilofagi, sono state sottoposte al trattamento anossico: sono state inserite per un mese in un sacco ermetico con atmosfera controllata priva di ossigeno così da eliminare “per soffocamento” uova e insetti. A conclusione sono stati trattati con prodotto consolidante e biocida per prevenire attacchi futuri.

Sull’opera di Procaccini l’intervento è poi proseguito con la pulitura eseguita in due fasi: la prima per rimuovere lo strato di vernice, solubilizzato grazie a una miscela composta in prevalenza da un solvente polare e poco volatile (etanolo al 60%) e da un solvente apolare (ligroina al 40%); la successiva per assottigliare a bisturi le gocciolature presenti su volti e abiti. A questo punto, i pochi micro sollevamenti di colore e preparazione sono stati fermati iniettando colla di coniglio ed esercitando pressione e calore così da far riaderire le scaglie. Anche i piccoli chiodi presenti lungo il perimetro dell’opera sono stati rimossi ove possibile, oppure mantenuti e trattati con convertitore di ruggine e isolante di natura acrilica.

I restauratori hanno quindi steso una mano di vernice per restituire saturazione alle cromie e preparare il dipinto alle successive operazioni di integrazione. Le lacune di profondità sono state stuccate e le parti mancanti ricostruite con resina epossidica, su cui poi è stato steso un sottile strato di gesso e colla accuratamente lisciato e preparato per essere ritoccato con colori ad acquerello e a vernice.

Infine, il dipinto è stato protetto da un velo di vernice spray lucida, che esalta i colori forti e cangianti prima annebbiati, le forme nette, insieme sintetiche e monumentali tipiche del pittore.

Per quanto riguarda la tela con Cristo in casa di Marta e Maria Maddalena, prima di tutto la ditta Rava si è occupata di far riaderire le zone di colore che mostravano micro sollevamenti e decoesioni. In seguito ha pulito l’opera con l’obiettivo di rimuovere la vernice, i ritocchi e le ridipinture che ne impedivano la corretta lettura utilizzando una miscela poco polare composta da etanolo (40%) e ligroina (60%).

Le lacune più profonde che interessavano lo strato pittorico e la preparazione sono state stuccate con una mestica di gesso e colla non pigmentata, poi ritoccate con colori ad acquerello e rifinite con colori a vernice applicati puntualmente anche su abrasioni superficiali e lacune non stuccate.

Al termine, l’opera è stata protetta con una vernice a spray con finitura semi lucida.

Le sottili cornici lignee dorate abrase e frammentarie sono state recuperate sia dal punto di vista funzionale che estetico restituendo loro il ruolo di raccordo luminoso tra la superficie dipinta e l’incorniciatura lapidea dell’altare.

Ora le due pale d’altare sono tornate a ornare gli altari delle loro cappelle, anch’esse restaurate di recente grazie al lavoro del Segretariato regionale del Ministero della Cultura.

 

Chiara Cubito, funzionario restauratore conservatore